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Clima e ghiacciai del gruppo Ortles-Cevedale   Inserito il› 01/01/2006
Aggiornato il› 01/01/2006
Il clima cambia. Sarà forse la scoperta dell'acqua calda, ma di questi tempi quest'acqua è sempre più calda. Ed anche il ghiaccio. E tutti sanno che calore e ghiaccio non vanno molto d'accordo. In questo articolo non si vuole entrare nei meriti della diatriba Global Warming antropico VS. Global Warming naturale, ma si vuole presentare una documentazione visiva di come il riscaldamento di questi ultimi decenni abbia subito una notevole accelerazione negli ultimi anni che, oltre che numericamente, è "quantificabile" anche visivamente grazie ai ghiacciai alpini. In particolare attraverso foto e disegni si potrà constatare l'evoluzione subita da queste (è sempre bene ricordarlo) enormi riserve di acqua dolce.
 
Cominciamo subito "consolandoci" dicendo che nel medioevo i ghiacciai stavano molto peggio di oggi. Questa affermazione discende da studi effettuati sulle rocce
e sui resti fossili rinvenuti nelle vallate alpine.
Nella Val di Solda, in alta Val Venosta ai piedi del massiccio dell'Ortles, i resti fossili di un tronco di larice vissuto tra il 1400 ed il 1600 (foto 1) ci dicono che in quell'epoca il bosco si estendeva fino a quote ben più elevate di quelle attuali (2500 metri circa contro i 2200 attuali), indice di una temperatura media più elevata che faceva sciogliere i ghiacciai e lasciava spazio a zone libere per fiori e piante.
Questa epoca, nota come "Optimum Medievale", fu poi seguita da un periodo di raffreddamento in cui tutti i ghiacciai della zona alpina subirono un'espansione notevole.
Il ghiacciaio della vedretta di Solda (foto 2) giunse alla sua massima espansione nell'anno 1816, noto anche come "l'anno senza estate". A causa di violente eruzioni vulcaniche che diffusero nell'alta atmosfera tonnellate di ceneri capaci di attenuare in parte la luce del sole quell'anno si ebbe un'estate molto fresca, che non permise in molte zone europee di avere raccolti (infatti furono funestate da diffuse carestie) e che consentì ai ghiacciai di vivere alle loro quote una sorta di inverno lungo 12 mesi. Il ghiacciaio in questione avanzò in quell'anno di oltre 1 chilometro (!) giungendo a minacciare le malghe poste nel fondovalle a quota 1900 metri.
Quello fu però l'ultimo anno nel quale i ghiacciai delle Alpi avanzarono tutti ed indistintamente. La temperatura media annuale andò via via aumentando, ma in una maniera che non destava preoccupazione, ovvero veniva visto come una aumento naturale dopo una fase alquanto fredda degli ultimi decenni.
Il vero "boom" dell'incremento della temperatura si ebbe a partire dagli anni 80 del secolo scorso, accompagnato (soprattutto dagli anni 90) da una mutata circolazione globale dell'atmosfera che ha provocato una diversa distribuzione delle precipitazioni (sia temporalmente che geograficamente) rispetto agli anni precedenti.
Per quanto riguarda la zona dell'Ortles-Cevedale si sono notati grossi mutamenti nei ghiacciai a partire dalla fine degli anni 90. Dopo la "mosca bianca" dell'inverno 2000-2001, che vide grossi quantitativi di neve su tutte le Alpi, si ebbero via via anni con scarse precipitazioni nevose, sopratutto nel periodo autunnale, quello fondamentale per la sopravvivenza di un ghiacciaio. E così sempre più spesso già ad inizio Luglio i ghiacciai più bassi si trovano già senza la copertura di neve fresca utile a proteggerli dall'intensa radiazione solare, mostrando crepacci, faglie e disgregazioni difficilmente risanabili.
 
Una testimonianza visiva è data dalla parete nord del Gran Zebrù: questa, nella parte sommitale, fino al Giugno 2001 era ricoperta da una ghiacciaio pensile denominato "La Meringa". Il suo crollo è coinciso con l'inizio di un periodo di contrazione di tutto l'apparato glaciale presente sul suo ripido versante, come mostrano bene le seguenti immagini rispettivamente delle estati 1998, 2001 e 2003.
 
 
 
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